All’interno della compagine condominiale, tutti i condòmini sono tenuti al pagamento delle spese rese necessarie per la gestione – ordinaria e straordinaria – del condominio in base ai millesimi di proprietà così come stabilito all’art. 1123 c.c.
Una questione peculiare, al centro di numerose polemiche e dibattiti e che, ancora oggi, non sembra aver trovato una linea comune e condivisa da parte degli amministratori, è certamente rappresentata dalla ripartizione dei costi relativi ai consumi idrici.
Ancora troppo spesso, infatti, vengono adottati o accettati, per consuetudine, i più disparati e quantomai discutibili criteri, che, il più delle volte, si rivelano essere arbitrari o contrari alla normativa.
Ma cosa dice la legge?
Alla luce del motto “pago quello che consumo”, non può non essere auspicato, sempre che siano istallati (D.Lgs. 3 aprile 2006, n. 152, art. 146), l’utilizzo dei contatori individuali in grado di rilevare i metri cubi consumati all’interno di un’unità immobiliare.
La lettura dei metri cubi – da preferire (e consigliare) nelle utenze commerciali (bar, ristoranti, parrucchieri) per via dei consumi importanti rispetto a quelli solitamente previsti ad uso domestico – resta il sistema più corretto, ma di difficile installazione: spesso il flusso d’acqua dell’acqua giunge nell’abitazione da due o più montanti diversi.
Inoltre, anche questo sistema non è sempre oggettivo: si possono infatti riscontrare delle incongruenze nelle rilevazioni dei consumi che danno origine a differenze, anche importanti, tra il consumo dichiarato dal singolo condòmino e quello effettivo risultante dalle bollette.
Come fare allora per evitare che i furbetti del quartiere non dichiarino meno di quello che hanno consumato effettivamente? Chi è tenuto a dare lettura dei consumi idrici?
In presenza di anomalie, l’amministratore, in base ai propri poteri e doveri precisati all’art. 1130 c.c. o in base ad una delibera può disporre che la rilevazione dei consumi avvenga sotto il proprio controllo o, ancora meglio, sotto il controllo di una ditta esterna deputata alla raccolta dei dati.
Ma se i contalitri non sono il sistema più affidabile e certo e la loro presenza non è sempre garantita, come ripartire i consumi idrici?
All’interno di questo ginepraio, la Corte di Cassazione offre una certezza.
L’orientamento giurisprudenziale maggioritario e oramai consolidato, infatti, tende a escludere il riparto dei consumi idrici effettuato per teste o in proporzione al numero di occupanti/residenti per abitazione e a preferire la ripartizione in base ai valori millesimali ai sensi dell’art. 1123, primo comma, cod. civ (Cfr. Cass.n°17557/2014).
Ci si domanda, a questo punto, se l’assemblea condominiale e il regolamento di condominio possano prevedere criteri differenti.
È certo, nonché pacifico, che i criteri per la ripartizione delle spese condominiali stabilite dall’art. 1123 c.c., possano essere derogati sia da una delibera assunta all’unanimità della compagine condominiale – nessuno escluso -, che da una clausola inserita nel regolamento condominiale di natura contrattuale.
È bene ricordare che la Corte di Cassazione ha più volte ritenuto invalida la decisione assembleare, assunta a maggioranza, che adotta un criterio diverso criterio di riparto per persona in base al numero di coloro che abitano stabilmente nell’unità immobiliare, esenti dalla contribuzione i condomini i cui appartamenti siano rimasti vuoti nel corso dell’anno.